Scarlino. Non perdetevelo!

Chi lascia la costa e va verso l’interno si accorge di quanto noi maremmani siamo stati bravi a strappare territori un tempo paludosi e a trasformarli in terreni agricoli. Spiccano vigneti e oliveti tenuti come giardini intervallati da boschi coperti dalla macchia mediterranea con un sottobosco rigoglioso dove stanno di casa cinghiali, istrici, tassi… Questo scenario si vede anche lungo la strada che porta a Scarlino distante da Grosseto circa 30 km.

Il borgo sorge a settentrione del Monte d’Alma da cui si gode un meraviglioso panorama sul Golfo di Follonica. Conserva con la sua Rocca, oggi piuttosto danneggiata un aspetto medioevale. Il turista può godere di diverse opportunità che vanno dalla costa, al bellissimo bosco di castagni percorso da itinerari di trekking, soggiornare in strutture immerse nel verde, quindi godersi la natura a pieno nel refrigerio del bosco e della macchia mediterranea.

Consiglio una visita al Castello che nel 1972 è stato restaurato, dai lavori e dai successivi scavi archeologici è emerso un piccolo tesoro di cento monete d’oro risalenti alla prima metà del XV secolo. Al Canalino, una fonte del 500 con abbeveratoio e lavatoio e alla chiesa di San Donato, di stile romanico, in cui si possono ammirare opere pittoriche importanti.

A nord della frazione del Puntone vi sono spiagge sabbiose e pinete, mentre a sud fino al torrente Alma, il turista, trova coste frastagliate e a picco sul mare. La macchia arriva fino alla spiaggia di Cala Violina, una delle più belle della costa tirrenica. Il viaggiatore, senza rinunciare al sempre piacevole mare non gli resta che abbandonare la strada principale per andare alla ricerca del borgo e scoprire case in pietra, strette viuzze, tranquille piazzette, tesori d’arte e panorami mozzafiato.

Se poi va in agosto, Scarlino si trasforma in un borgo medioevale con corteo storico animato da attori-contradaioli, sfide tra arcieri e altre competizioni rappresentate dalle sue contrade. E la sera tutti alla sagra paesana. Vi aspettano le massaie del borgo con i loro piatti del passato di povertà, ma valorizzati, gustosi e caserecci. Per finire, un complessino allieterà la serata. Insomma, vi consiglio una visita a Scarlino, una meta ideale per chi ama un turismo a stretto contatto con la natura.

La Maremma si risveglia

Mentre in molte parti d’Italia ci si sveglia ancora con la neve e le città sembrano fogli bianchi, in un inverno altalenante, la Maremma gode di un clima mite. Le giornate raramente sono piovose e scure, anzi la natura da noi, si risveglia in anticipo.

Gli alberi cominciano a mettere le foglie nuove, i fioriscono, nei prati spuntano le margherite e gli uccellini cinguettano allegri da un ramo ad un altro. Protagonista in alcune giornate è il vento, ma non è freddo, basta un cappotto leggero e una sciarpa colorata per andare a fare belle passeggiate e godere dei nostri paesaggi naturalistici, secondo me, unici al mondo. Se poi, come spesso succede, splende il sole, non c’è niente di meglio di andare sulla spiaggia. C’è l’imbarazzo della scelta.

Ovunque vai puoi godere di paesaggi meravigliosi, il nostro mare spesso è calmo e lambisce una costa lunghissima e variegata. In questo periodo trovi silenzio, risuona solo il rumore del mare, oppure il richiamo di qualche persona al loro amico peloso che ha avuto la stessa mia idea. L’aria è pura e pulita e visto che non è freddo, puoi vedere qualche sportivo amante dell’acqua e del vento fare windsurf.

Ma anche le piste ciclabili e le strade meno battute dalle macchine sono percorse dagli amanti della bicicletta. Il nostro tempo mite le invoglia a fare una bella passeggiata senza rischiare di ammalarsi oppure prendere una bella acquata.
Insomma, se uno sente la mancanza della natura, di un bel prato fiorito, del contatto con gli animali, anche se non è primavera, in Maremma può godere di tutto questo perchè la nostra zona non è mai noiosa e scontata.

La Pappa al pomodoro

Vedendo Rita Pavone al Festival di Sanremo, la mamma si è ricordata la Pappa al pomodoro della nonna.

Voi direte cosa c’entra Rita Pavone? E’ la cantante che per anni, quando la mamma era ragazza, cantava “Viva la Pappa col pomodoro” fino a renderla un ritornello un po’ noioso.

Questa pietanza è stata per anni, insieme all’acqua-cotta, il cibo dei contadini e della gente povera. Oggi nei ristorantini e trattorie tipiche viene servita in versioni sempre più appetitose, simili ma tutte diverse per sapore, profumo, consistenza e colore.

PROCEDIMENTO

Fare un battuto di cipolla tagliata finemente e rosolarla in olio abbondante, poi aggiungere i pomodorini passati in precedenza, una schizzata di conserva e aggiustare di sale, infine mettere un chiodo di garofano.
Far cuocere per un’ora a fuoco basso con poca acqua. Prolungare la cottura per un’altra ora aggiungendo brodo o acqua. All’ultimo mentre il bollore procede rovesciare nel tegame fette di pane raffermo e spegnere subito. Appena il pane si è imbevuto e ammorbidito intervenire con la frusta o il mestolo perché il pane diventi pappa.

BUON APPETITO, il ghiottone è servito.

 

Tonino: dall’Amiata al mare della Maremma

Tonino abitava con la mamma e il babbo sull’Amiata. Era un bambino timidi e ribelle. Aveva un desiderio, quello di vedere il mare. Essendo poveri e molto lontani non gli restava che sognarlo. Nelle sere limpide d’estate, il bambino con il naso all’insù rincorreva le stelle con gli occhi ed esprimeva sempre il desiderio: “Voglio….. voglio vedere il mare”fino a quando una notte d’estate fece un fagottino con poche cose, lo infilò in un bastone, se lo caricò in spalla e scappò di casa.

La luna splendeva nel cielo, sembrava un veliero ad ogni piccolo fruscio trasaliva, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Attraversò colline piene di vigneti e oliveti che al sole brillavano d’argento, poi raggiunse un bosco, stanco e affamato disse: “Lì troverò ombra e qualcosa da mangiare”. Il bambino girò tra lecci, corbezzoli, sughere fino a notte, poi stanco e impaurito si addormentò. La luna splendeva luminosa, Tonino era nascosto in un cespuglio, ma ad un tratto un lieve fruscio di foglie lo svegliò. Vi era una processione di occhietti, era una famigliola di ricci.

Il bambino decise di seguirli. Arrivarono ad un melo selvatico, gli animaletti cominciarono a ruzzolare le mele cadute dal vento e aiutandosi con il musetto e le gambette riuscirono ad infilarle nei loro irti aculei, poi in processione indiana andarono via. A Tonino sembrò un sogno. Si rimpinzò la pancia di mele per tutta la notte e la mattina abbandonò il bosco grande e misterioso riprendendo il cammino. Giunse in pianura, campi coltivati splendevano al sole, non mancavano papaveri e fiori di campo di ogni colore, ma la sua attenzione fu attratta da un polverone in lontananza.

Vi corse incontro, passava una mandria di vacche maremmane, il silenzio era rotto da corna e muggiti, uomini a cavallo agitavano cappellacci e lazzi per indirizzarle dove volevano: erano i butteri. Tonino vedendo questo grande spettacolo rimase a bocca aperta. Forse il mare era vicino per questo riprese subito il cammino. Quando ormai era stremato dalla stanchezza gli apparve una distesa d’acqua a perdita d’occhio. Il vento soffiava dolcemente e giocava inseguendo le onde, Tonino rimase estasiato, tutto era azzurro con sfumature di blu, celeste, verdi e bianche della schiuma delle onde. La riva era di sabbia gialla e vicino all’acqua vi era qualche conchiglia portata dal tremolio delle alghe.

Il mare non finiva più e la spiaggia era lunghissima, il bambino corse a bagnarsi e a lavarsi, i piedi malconci e gonfi ebbero sollievo, poi per ore giocò con le onde e con la sabbia finissima. Ora poteva ritornare a casa. Camminò e camminò e quando arrivò dai genitori sull’Amiata con gli abiti ridotti a stracci, i sandalini logori, i capelli lunghi, magrissimo da sembrare una scopa, la mamma e il babbo lo perdonarono senza dargliele di santa ragione. Da quel momento Tonino diventò un bravo ragazzo ubbidiente, giudizioso e affettuoso, ma alla prima occasione si ripropose di portare i suoi genitori a vedere il mare. Il monto Amiata era bello, pieno di faggeti e castagni, ma il mare della Maremma non era certo da meno.

Gli animali della Maremma di ieri

Ricordando la Maremma uscita dal purgatorio della malaria e della fame, arriva l’eco delle galoppate e delle mandrie.

Il cavallo è il simbolo più rappresentativo della maremma agricola. Ha reso famosi i butteri. Un tempo era diverso, brado e puro, robusto e brutto, gli bastava poca biada per percorrere tanta strada, era molto resistente.

La razza maremmana dei buoi si pensa che discenda dalla razza grigia asiatica. Negli anni si è profondamente trasformato. Sono sopravvissuti solo i buoi che hanno saputo adattarsi a vivere nella prateria, nel padule e nel bosco, sotto il sole e il rigore dell’inverno.

Un tempo vi erano anche i bufali che venivano usati in campagna per i lavori più pesanti, i buoi non erano in grado di trasportare i tronchi nei terreni acquitrinosi. Non era facile domarli. A questo proposito si racconta che un giorno, un paio di bufali che stavano trainando un carro pieno di tronchi per le staccionate, presi dal gran caldo e fiutato l’acqua, si lanciarono al galoppo e si buttarono nel fiume. Il bufalaro non poté far nulla per trattenerli, sconsolato, era sicuro che fossero affogati, ma poco dopo ricomparvero ancora con il carro, tranquilli e rinfrescati uscirono dal fiume.

Non dimentichiamo il nostro passato perchè la Maremma perderebbe i suoi valori che ne fanno una terra unica al mondo.

 

Imperiale, il toro Maremmano

In Maremma, anche gli animali per anni hanno fatto parlare di sé. E’ il caso di Imperiale, un toro che tanti anni fa viveva in una tenuta in Grancia a pochi chilometri da Grosseto. Era bello, forte, abituato al silenzio della campagna, gli unici rumori il galoppo dei butteri e il muggito delle vacche maremmane.

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Ma un bel giorno, il suo padrone, decise di portare Imperiale alla festa organizzata nel prato delle Cascine. Il toro si trovò fuori dal suo ambiente, non più silenzio ma il vociare dei numerosi spettatori che erano accorsi a vedere la marcatura dei vitelli e la doma dei puledri. Ad un tratto innervosito buttò giù lo steccato del suo box e scappò mugghiando.

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La folla impaurita si dette al fuggi, fuggi, Imperiale rincorso dai suoi butteri non si fermava, anzi nella sua folle corsa abbatté una carrozza, sventrò un cavallo e giunse all’Indiano, un caffè all’aperto pieno di gente. Il toro si fermò, si guardò intorno, le persone scappando gridavano. Adocchiò una signora che impietrita dalla paura era rimasta seduta al tavolo, le si avvicinò, l’annusò, la guardò negli occhi e poi infilandole il corno sotto la gonna gli strappò l’abito lasciandola semi nuda.
La signora svenne e Imperiale riprese la sua corsa. Ancora non aveva finito. Fiutata l’acqua si diresse al galoppo sulla sponda dell’Arno e ci si tuffò. Meno male che i butteri riuscirono a catturarlo con il laccio e si sentirono tranquilli solo quando lo riportarono in Grancia.

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Morì nel 1940 dopo uno dei suoi ultimi duelli.

Paganico tra mare e montagna

Percorrendo la “Senese” si arriva dopo circa 6 km da Campagnatico al bivio di Paganico, il borgo che fa da “spartiacque” tra la pianura e la montagna. E’ interamente pianeggiante, ben curato e come tutti i paesi vi si vive bene, in piena tranquillità, tanto da sentir dire dalla gente che si rallegra di abitare da queste parti.

Nelle sere d’inverno, Paganico spesso viene avvolto dalla nebbia, tutto appare sfumato, vige il silenzio, questo scenario da origine alle più fervide immaginazioni. Per me, ad esempio, assomiglia ai quartieri londinesi ai tempi del Dott. Jekyll.Vi si arriva da una vecchia porta, dopo qualche metro appare una piazza dove c’è la Chiesa di San Michele case ben tenute e un piccolo giardinetto. Tutto intorno campi coltivati, casolari ristrutturati e rustici.

La chiesa è assolutamente da visitare. All’interno vi sono diverse opere d’arte della scuola senese come la Madonna in trono con il bambino, incoronata da due angeli, con il Ss Michele Arcangelo, Giovanni Battista, Gregorio e Sebastiano. Quest’opera è del senese Andrea di Niccolò datata tra il 1480 e il 1490. Nell’abside preziosi affreschi del 1368, attribuiti a Biagio di Goro Ghezzi.

Anche questo paesino ha la sua leggenda.
Si racconta che in una battuta di caccia nel bosco i paganichesi, ma anche i civitellini trovarono un Cristo. Subito fu “guerra” perchè tutti e due i gruppi dicevano di averlo visto per primi e siccome non si misero d’accordo decisero di affidare la soluzione alla volontà divina. Presero due vacche non dome, le caricarono addosso la sacra immagine e a seconda della direzione che avrebbero preso si stabiliva la proprietà del Cristo. C’è chi dice che le mucche si diressero subito verso Paganico, ma anche altri che dissero verso Civitella. Allora come mai il Cristo oggi si trova a Paganico? Per sua volontà e non per quella delle vacche. Durante la notte era nevicato, di prima mattina i civitellini si recarono in chiesa e con grande sorpresa si accorsero che la sacra immagine era sparita: i paganichesi, secondo loro, l’avevano rubata, ma bastava seguire le orme sulla neve per scoprire il furto. Con grande sorpresa si accorsero che vi era solo un’orma di un uomo scalzo che da Civitella andava verso Paganico nella sua definitiva dimora.

Se vi trovate nella nostra Maremma, consiglio di visitare Paganico ad agosto quando si tiene la “sagra della Granocchia”, è un’occasione per unire cultura, tradizione e passare una giornata diversa.

Il natale in Maremma

Già da circa un mese dall’arrivo del Natale a Grosseto si respira un’aria magica. I negozi illuminati, i tappeti rossi fuori dalle porte, le decorazioni colorate che attraggono la gente in cerca di regali.

Anche il mercato è uno spettacolo divertente le bancarelle sono vivacissime, nell’aria si respirano profumi e suoni natalizi. Le case si trasformano, dagli scatoloni escono fuori statuine del Presepe e palline argentate e dorate per l’albero di Natale, nelle terrazze e nei giardini addobbi e luci di ogni genere. Nelle chiese vengono allestiti Presepi con molta cura simili, ma tutti diversi. In questo periodo che è uno dei più belli dell’anno, mi sembra che le persone siano più serene.

Le strutture ricettive hanno già fatto le loro offerte per accaparrarsi il turista che approfittando delle vacanze può venire con la famiglia in Maremma. I ristoranti hanno buttato giù il menù sia per giorno di Natale che per il Capodanno. Vi sono piatti della tradizione marinara, piatti con funghi e selvaggina, principale il cinghiale che rappresenta il simbolo della Maremma, piatti che ripropongono la cucina “povera contadina” e tante altre sorprese.

Grazie al nostro clima mite, il turista può visitare anche d’inverno la nostra Maremma, può godere a pieno dei paesaggi che vanno dal mare alla montagna, ai borghi medievali e cittadine antichissime come la “triade” Sovana, Pitigliano e Sorano. Insomma fare una vacanza piena di meraviglie, sorprese e silenzio.

Le lucciole in Maremma

Prendendo spunto dalle luci intermittenti che in questo periodo natalizio brillano nelle strade e nei negozi, la mamma si è ricordata uno spettacolo della natura che vi voglio raccontare.

Quando era una bambina, nelle sere d’estate, andava a giocare con i suoi amici al Mercatale, il giardino di Campagnatico. La strada era poco illuminata ed all’altezza della chiesa poco fuori dal parco vi era un buio pesto, ma veniva interrotto da tante piccole luci intermittenti: le lucciole.

Punti luminosi che si accendevano e si spegnevano nell’aria, altri brillavano in terra dando vita a una danza e a uno spettacolo naturalistico che ancora oggi la mamma si ricorda con nostalgia. Era il dialogo d’amore delle lucciole.

Curiosità Maremmane 2

Tra i personaggi “particolari” che nel passato hanno abitato la nostra Maremma vi è il Nebbia.

L’uomo dai cinquanta panei al giorno, cacciatore brigantesco, dallo sguardo di ghiaccio, ribelle a tutte le regole e che da giovane, non avendo paura di niente, si era battuto corpo a corpo con i cinghiali.

La sua pelle era come una pergamena, impenetrabile al sole ed alle zanzare. Portava stivaloni di gomma sia di giorno che di notte a tal punto che ci dormiva pure.

Viveva in una spelonca di cannelle ai margini del padule di Castiglione della Pescaia che naturalmente si era costruito da solo, insieme a due cani e ad un grosso serpente d’acqua che gli si era affezionato a tal punto da dormirgli sotto il suo giaciglio.

Quando pioveva apriva un grosso ombrellone verde e tutti sotto, ma non serviva perchè la spelonca si allagava dal basso e da sopra. Conosceva molto bene il padule tanto da percorrerlo tutto in piena notte.

Col passare degli anni il padule si restrinse e il Nebbia diventò vecchio, ma sempre forte come una roccia, solo gli occhi si velarono. Tutti lo conoscevano, ma in pochi l’avvicinarono, e a quei pochi diceva: ” Se l’uccello piglia aria, l’ammazzo lo stesso, ma molte volte lo sento alzare e non lo vedo.” Visse tutta la vita solo, ma io credo felice, gli unici suoni che gli fecero compagnia furono i gridi delle gallinelle e l’urlo fortissimo del tarabuso.